La mia bellissima esperienza è cominciata il 10 gennaio, quando sono arrivata ad Ankara per prendere parte al progetto di due mesi “Meeting of Generations”. In realtà tutto è iniziato a Dicembre, quando mi sono soffermata a riflettere sulle scelte fatte in passato, valutare il mio presente, vivere con paura ciò che sarebbe potuto accadere in futuro. Mi sono svegliata una mattina e ho capito che la mia vita non mi piaceva più e che la cosa migliore che potessi fare era rimettermi in gioco facendo un’esperienza all’estero, per prendere parte a qualcosa in cui credevo, capire cosa avevo da offrire, vincere le mie sfide e confrontarmi con realtà diverse, al fine di crescere, imparare e superare le mie paure. Eh sì, le paure erano davvero tante. Le peggiori erano quelle legate alla mia timidezza, insicurezza e ipercriticità verso me stessa, che non mi permettevano di trasformare i miei progetti in qualcosa di concreto, la scarsa conoscenza dell’inglese e l’età, 30 anni.

Con il bagaglio carico di paure e ansie il 10 Gennaio sono arrivata ad Ankara. Il mio progetto prevedeva che io lavorassi all’interno del Cafè Down, una piccola e accogliente caffetteria in centro, gestita da ragazzi affetti dalla sindrome di Down, e che partecipassi a dei workshop nel Saray Center, un centro che accoglie persone di tutte le fasce d’età, affette da diverse tipologie di disturbi psichici. Il mio primo giorno di lavoro al Saray Center è stato traumatico. Entrata nella palestra sono stata accolta, baciata, toccata e abbracciata da una folla incuriosita di pazienti del centro che, come tutte le mattine, si trovavano lì per svolgere i loro esercizi di ginnastica. A questo è seguita la cosa che più di tutte mi ha intimorita: l’invito a ballare con loro sulle note di una musica..inesistente! Vista la mia timidezza e il mio constante terrore di fallire e di essere giudicata ho pensato che non ce l’avrei fatta. Inoltre, pensavo: “come potrei? io non so ballare!” e poi, “come posso comunicare con loro dal momento che nessuno parla una lingua comune?”. La risposta è arrivata da sola dopo pochi giorni, quando mi sono ritrovata a ballare insieme a loro una musica che non esisteva, esprimermi nei modi più svariati, ridere e piangere. Non solo comunicare in maniera non-formale è possibile, ma è anche meraviglioso, apre la mente e il cuore e cambia davvero la prospettiva che abbiamo di vedere le cose.
La seconda parte del progetto prevedeva il lavoro in ufficio, la scrittura di articoli e la partecipazione alle lezioni di turco. A queste attività se ne sono pian piano aggiunte delle altre. Ho iniziato a insegnare italiano, proporre ogni settimana nuovi argomenti per l’English conversation Club, organizzare workshop in inglese, aderire alle più svariate attività. Dopo pochi giorni ho potuto verificare le mie capacità, ma al contempo interagire con tantissime persone e conoscere la loro storia, nuove tradizioni, valori e stili di vita.
Non mi sono mai reputata una persona chiusa mentalmente, al contrario, penso di essere curiosa e poco propensa al giudizio. Prima di partire per lo SVE il mio senso di iniziativa era molto sviluppato e forte, ma la paura di un fallimento e il timore di non essere poi in grado di affrontarlo non mi permettevano di trasformare le mie idee in qualcosa di concreto e di socializzare con gli altri come avrei voluto. Questa esperienza mi ha incoraggiata a prendere diverse iniziative e mettere in pratica le mie idee, a comprendere che la possibilità di fallire esiste ma è necessario provare. Ho imparato a superare alcune insicurezze, a riconoscere ciò che mi stimola o mi spaventa, quali situazioni preferisco. Ho capito meglio come utilizzare le competenze e le esperienze acquisite in passato e come investire le nuove nel prossimo futuro. Ho imparato a conoscere una nuova, meravigliosa cultura e il suo paese, esplorandone il territorio, ponendo continuamente domande, prendendo il caffè a casa di persone conosciute da poco ma, soprattutto, prendendomi del tempo e lasciandomi andare. Lavorando al Cafè Down e al Saray Center ho imparato la cosa più importante di tutte: gli altri possono sempre insegnarci qualcosa, continuamente, soprattutto coloro i quali, essendo affetti da disabilità fisiche e mentali, godono di minori opportunità e vivono con sofferenza pensando di non essere in grado di trovare un posto in un mondo in continuo movimento, troppo preoccupato per altri problemi.

L’11 Marzo il mio progetto si è concluso. Ho preparato nuovamente le valigie, ma stavolta ho lasciato dietro tutte le paure e le insicurezze che avevo portato con me in Turchia, e sono tornata in Italia con un bagaglio carico di esperienze, emozioni, ricordi, maggiori consapevolezze e voglia di intraprendere nuovi progetti.

Valentina Tiddia